28 maggio 2016

Occhi nuovi

"Il vero viaggio di scoperta non consiste nell'avere terre nuove da scoprire, ma occhi nuovi". Ho sempre adorato questo aforisma. E così, la mattina successiva alla lunga serata della presentazione del libro al Mercato Centrale di Firenze (ci saranno state quasi 100 persone: una emozione davvero grande e una non piccola soddisfazione personale), dopo una travagliata notte in bianco per l'adrenalina post-evento e un po' di tensione pre-operazione, mi sono sottoposto a un intervento di chirurgia laser per ridurre la mia tanta miopia e anche il non lieve astigmatismo. Eh sì, "occhi nuovi", caro Proust. Ora sono in convalescenza attiva: in qualche settimana saranno chiari gli esiti. Intanto, sono senza occhiali. Il giorno stesso dell'intervento l'ho trascorso a letto, e ho pensato, avendo poco da agire, al D'Annunzio ferito e accecato per una scheggia all'occhio che si mise a comporre il suo "Notturno" scrivendo i versi su della carta igienica, colto da un raro momento di autentica ispirazione. Io supino e al buio mi sono sentito all'infinito la canzone di Peppino Gagliardi, "Che vuole questa musica stasera", che avevo scoperto in una scena capolavoro di un film capolavoro, "The Man from Uncle" di Guy Ritchie ma, come era prevedibile, non ho lasciato tracce scritte imperiture del momento, se non scribacchiate riflessioni acidule. Oggi è sabato e ho ripristinato una certa normalità, se non visiva senz'altro comportamentale: nel primo meriggio arrivano degli amici da Genova con cui trascorrere una piacevole giornata di gran caldo (oggi sono previsti oltre 30 gradi) fra le nostre meravigliose colline, a far assaporare vini e cibi nostrani. E domenica, tanto per scongiurare qualsiasi effetto noia, mi aspetta subito una partenza aerea, direzione Parigi, la mia quinta volta nella Ville Lumiere, la prima "a nuova vista restituito", per una degustazione Ruffino al Marais. Rientrerò di mercoledì, preciso per la presentazione del libro a Pontassieve durante il Toscanello d'Oro, a cui tengo particolarmente.




il Vate orbo

24 maggio 2016

La Toscana di Ruffino al Mercato Centrale, ci siamo.

Domani è il gran giorno della presentazione del libro. Dal 26 maggio La Toscana di Ruffino sarà in vendita nelle librerie, in tutte le più importanti (e questa è un'altra grande soddisfazione!) e domani, il 25 maggio alle 18.30, daremo il via alle danze con una presentazione in un luogo simbolico e suggestivo, il meraviglioso primo piano del Mercato Centrale di Firenze.






In queste ore il libro è stato visto da qualche persona, sia l'italiano che l'inglese, e abbiamo gongolato per i tanti complimenti ricevuti. Ci sono video molto gratificanti:





E faccio torto non voluto ad altri contributi che adesso dimentico. E agli altri che verranno. E a chi il libro poi lo comprerà, si prenderà la briga di cercarlo in libreria o di acquistarlo on line. Grazie! Siamo tutti un po' emozionati perché il progetto ha toccato corde personali e non solo professionali. E dopo la presentazione fiorentina di domani sono molto contento di anticiparvi che il primo giugno alle 21 saremo nel mio amatissimo "natio borgo selvaggio", a Pontassieve, ospiti di una manifestazione storica come Toscanello d'Oro.
E a fine luglio valicheremo la Sieve per una serata sulla rive gauche di "Live in Sieve", a San Francesco, qui davvero casa mia, con gli amici di Sulla Sieve. In entrambe le presentazioni saremo supportati dalla libreria di Pontassieve La Fortuna.
Poi ci saranno tante altre serate, a Porto Santo Stefano all'Argentario all'osteria La Pace, a Roma, a Milano, a Padova e Genova, al Salone del Gusto di Torino e a Vipiteno.
Noi incrociamo le dita, per domani e per le sorti del libro, che siano "magnifiche e progressive". 
Io di nuovo - lo farò sempre perché non è vuota retorica - ci tengo a ringraziare Ruffino che ha creduto e finanziato il progetto quando era ancora carta vuota di pensiero, oltre ai colleghi che lo hanno arricchito in mille modi, il Cucchiaio d'Argento che lo ha abbracciato e irrorato di risorse professionali e umane uniche (Stefano, Alessandra, Elisabetta, Paola, Roberto), infine e soprattutto gli altri autori. Sandra: si potrebbe scrivere un libro nel libro su quante ne abbiamo vissute per farlo, sugli inciampi, sulle risate, sulle crescite, sulle quadrature, sui nuovi spunti, sui piatti rifatti all'infinito, e su quanto, da inguaribili cultori del nostalgico, adesso bruci che sia finito, andato quel periodo. Tommaso e Vincenzo: lo avete aggraziato col vostro tratto elegante, lo avete elevato con le vostre opere a introduzione di ogni capitolo e con la foto di copertina pazzesca (e che mi è cara anche per un altro personalissimo motivo), lo avete evoluto assecondando e limando le peculiarità fotografiche e narrative mie e di Sandra, che oscillano fra il lezioso e il baracco ma abbondano di sentimento, raccontando sempre La Toscana di Ruffino attraverso un segno grafico distintivo e che ha legato meravigliosamente il tutto, meglio della besciamella di Caterina de' Medici.
Vabbè, ho debordato di nuovo nella prolissità. Chiudo brevemente con delle parole del libro, che rappresentano una dedica alla persona che più lo ha ispirato, mia nonna, che mi ha lasciato anni fa. Ancora oggi mi commuovo a pensarla, ricordando quanto abbia fatto per me. 

"Non avevo mai troppa fame e questo dannava mia nonna che pretendeva di alimentarmi costantemente e mai e poi mai avrebbe permesso che saltassi la merenda: arrivava a rincorrermi - e lo ha fatto fino all'ultimo inerpicandosi su collinette, declinando col suo bastone verso il fiume fra i ciottoli e i rovi, interrompendo accanite partite di pallone - per portarmi inesorabilmente ogni giorno, alle quattro in punto, la merenda. Insieme alla merenda, una spugna imbevuta d'acqua e sapone con cui mi puliva le ginocchia, annerite e "sbucciate" per le cadute o per le mie arrampicate: del resto caracollavo dinoccolato con le mie gambe spigolose e lunghe e inciampavo dappertutto. La merenda della mia nonna, il rito di quella pausa di gusto che imbrigliava per un attimo le nostre scorribande, ci ha entrambi addomesticati, abituandoci a un gesto d'affetto ogni giorno ripetuto, a una consuetudine d'amore di cui ci si accorge della mancanza solo quando poi non c'è più."