27 ottobre 2016

Calgary

Sono atterrato a Calgary dopo l'ennesima notte funestata da continui risvegli e l'ansia di non sentire la sveglia: succede sempre nei voli mattutini. La città mi ha accolto con tre gradi sottozero e una sferzata di luce fresca a darmi il benvenuto. La giornata si è svolta bene, sebbene la stanchezza abbia strisciato anche in questa strana, non bella ma profondamente affascinante città, dal sapore di cercatori d'oro, cacciatori di alci e bisonti, petrolieri, freak con barbe lunghe e fare bighellonante. La downtown é un concentrato di dolci e armoniose contraddizioni: grattacieli di vetro in una atmosfera di paesotto di periferia, installazioni artistiche con ricordi olimpici, una vastissima piatta periferia di cottage in un altipiano ricco di fiumi e laghi. Sullo sfondo, imperiose, montagne innevate. Si ha la sensazione di essere in provincia rispetto alla grandeur di un certo Canada, quello delle grandi metropoli sia western che eastern, eppure anche questa città che sembra piccola ma è grande più di Vancouver mi ha stregato. Avevo voglia di freddo che ti entra addosso e bagni di luce. Le persone qui hanno un loro orgoglio e il solito entusiasmo semplice e accogliente. La degustazione in cui rappresentavo Ruffino si è svolta in un teatro di fine Ottocento. La sera si è svolta una cena in un private club con piscina, per persone facoltose che si sono trovate per una (ottima) cena italiana, che mi ha anche rimesso a posto il pancino: a fine serata ho conosciuto il cuoco napoletano. Dopo, finalmente, la prima vera notte di buon sonno - mi sono svegliato solo per alzarmi alle 6! -, un breve meeting allo Hyatt, ho passeggiato nel freddo della laboriosa Calgary downtown: la piazza olimpica, i grattacieli sobri, la familiarità da villaggio, le numerose installazioni artistiche che dialogano con la città, i baci di luce che mi entravano addosso malgrado sciarpa, cappello e guanti mi hanno dolcemente accompagnato poi all'aeroporto per la terza tappa di questo tour, Toronto. 

Le montagne rocciose: in arrivo a Calgary dall'aereo. 


Calgary dall'aereo.


Serata svolta. Passeggio fra le tante installazioni presenti a Calgary.


Prima di ripartire, monumento alle donne in Olympic Places.


Sempre Olympic Place.


Altra installazione equina.


Prospettive un po' attorcigliate ma che guardano verso l'alto. Mi ci rivedo.

Wanderer in Canada: Vancouver in British Columbia.

Sono arrivato dopo un volo lungo ma gestito con una certa perizia. Aprire gli occhi in quelle che sarebbero state in Italia le due del mattino e qui in Far West invece le tre del pomeriggio è stato un po' traumatico: la sensazione di sfasamento é stata molto netta e mi ha accompagnato fino alla mia partenza da Calgary: le prime 3 notti sono state di non sonno, risvegli improvvisi e un continuo mal di pancia quotidiano a sottolineare come l'organismo non fosse ancora per niente settato. E dire che prendo melatonina ormai da qualche giorno prima della partenza. 
A Vancouver ho avuto l'onore di sostare al Pan Pacific, hotel magniloquente, enorme, affacciato sulla baia. I canadesi sono affettuosi e molto orgogliosi di questa città che per il poco che ho visto è davvero splendida. Ha un ampio frastagliato waterfront da cui si ergono aitanti grattacieli. Attorno le montagne innevate e grandi parchi verdi. Una popolazione asiatica dominante (mi hanno detto il 75% ma mi pare uno sproposito) con una eccellente cucina asiatica: ho mangiato un welcome sushi all'arrivo sontuoso, in un sushi bar chiamato Kome.  Certo, anche il loro salmone é stato mondiale e mi hanno rivendicato la supremazia di questo salmone rispetto a quello eastern del Quebec e dell'Ontario. Ho anche assaggiato un po' delle loro birre - la città sta fermentando di brewery artigianali -. E anche i loro vini, della ragione Okanagan, di cui sono molto orgogliosi, non mi sono parsi per niente male: vini di impatto moderno da vitigni internazionali ma con finezze mediterranee, anche per questioni climatiche. 
Vancouver mi ha ricordato San Francisco, una cera atmosfera giovane e nerd, di esteti attenti al vestiario, senza rifuggire le stesse tendenze yippie della città californiana, ma molto ha anche di proprio, di orgoglio canadese, da westerner, come ribadito da più parti. La sera abbiamo fatto dei passi lungo oceano, nella zona dell'harbour e dell'attracco degli idrovolanti, dove più maestosi svettano  i grattacieli di vetro di Vancouver, attorno al "coudron", il monumento per le recenti olimpiadi. La downtown, attorno al famoso orologio a vapore, con gli aceri rossi nei viali, case basse di mattoni, un'atmosfera green, giovane, con tanti locali e uffici, mi é proprio piaciuta. Peccato per il tempo, piovoso e ventoso, ma quando per un breve lasso di tempo, il sole ha spazzato via le grigie malinconie celesti, la città ha subito preso un aspetto diverso. Poi le persone, la voglia di Ruffino e di abbracciarci nella nostra italianità, l'entusiasmo che mostrano, sono davvero uniche. La sede di Constellation é bellissima e fatta da persone molto giovani. Ho incontrato lavorando colleghi e professionisti che hanno saputo temperare il piacere di stare insieme con proficue occasioni di lavoro, degustazioni, incontri, strizzandomi, come hanno detto, tutta la mia toscanitá a loro beneficio. Chissà se mi capiterà di tornarci, certamente Vancouver é uno di quei posti da vedere, di una bellezza giovane e costruttiva e di una apertura affascinante e cosmopolita.
  

Il miglior sushi mai mangiato fuori dal Giappone.


Io e il mio collega Beppe negli uffici di Constellation a Vancouver.


Vancouver by night.


Vancouver all'alba.


Una foglia di acero caduta a terra.