L’atmosfera fra le strade è
silente, intima, raccolta. Spesso leggere nebbie avvolgono la notte. La neve
spolvera i colli più alti. Quando è sereno e un nitido cielo stellato illumina
la notte, le case brillano di luci colorate. I camini dai tetti di tegole
mangiate dal muschio emettono ipnotiche danze di fumo che si perdono fra i
bagliori della luna.
Tutto ha inizio l'otto
dicembre, festa dell'Immacolata Concezione e giorno di vacanza dedicato
all'allestimento degli addobbi natalizi: l’albero che dev'essere “grandissimo,
babbo!”, decorazioni create da mani emozionate e incerte, e il presepe: di buon
mattino ci mettiamo in macchina, si compra l'abete e si fa una bella
passeggiata nel bosco a raccogliere un po' di muschio.
Sono questi i giorni di
avvicinamento al Natale, intensi e partecipati quanto il Natale stesso,
soprattutto agli occhi dei bambini che brillano estasiati per meraviglie come
la famiglia per una volta riunita insieme e senza fretta, il babbo con tutto il
tempo per giocare al mattino in pigiama, la lettera da scrivere a babbo Natale,
i doni da incartare, le recite di fine anno della scuola, con nonni e mamme coi
lucciconi e fazzoletti in mano, le preparazioni per le ricche e festose
tavolate natalizie. A casa le donne di famiglia si ritrovano tutte insieme per
preparare i tortellini (chi fa la pasta, chi la tira, chi il ripieno, chi li
forma, chi li conta, chi parla del più o del meno…): un rito che ha
attraversato generazioni e che riunisce almeno tre nuclei familiari per ore e
ore che in nessun’altra occasione avrebbero voglia di dedicare tutto questo
tempo a un piatto delizioso ma dalla preparazione lunghissima e che richiede
una abilità quasi atavica.
Il gran giorno è la vigilia,
la sera del ventiquattro dicembre. Appuntamento a casa degli zii. La serata è
lunga e festosa: baccalà, un po' di fritto di mare come antipasto: la
tradizione vorrebbe che non si mangiasse carne. Poi, poco prima di mezzanotte,
l’apice: dalle scale scende un omino vestito di rosso dalla lunga barba grigia
e incappucciato dalla voce baritonale. I bambini - che pur tanto avevano atteso
questa apparizione – pietrificati e immobili. I più piccoli, puntualmente,
scoppiano spaventati in lacrime. “Io…io sono stata brava”, balbetta tutto d’un
fiato sforzandosi di non piangere la mia bambina più grande. “Zia, basta, torna a cambiarti. Non ha
funzionato: hanno avuto paura”, sussurro a mia zia, come ogni anno lei ben più
divertita di questa sua mascherata dei bambini stessi che, però, hanno subito
ripreso energie e colore nei volti nel vedere i doni lasciati da Babbo Natale: adesso non resta
che aprire i regali!
L'indomani il pranzo di
Natale è un momento quasi solenne. Siamo tutti vestiti bene. La tavola, in
rosso, è col servito buono della nonna, quello che si utilizza una volta
l’anno. Nei piatti, la migliore tradizione famigliare si interseca con le
ricette tipiche del Natale, fra le quali dominano i tortellini in brodo e un barocco cappone ripieno con pistacchi, uova di quaglia e prugne creando dei capolavori di cucina casalinga
d’autore. Si aprono le migliori bottiglie conservate gelosamente in cantina.
Nel lungo fine pasto dominano il pandoro e il panettone, le due icone dolci del
Natale Italiano, il panforte senese, il torrone, la frutta secca con il Vin
Santo. Il pomeriggio scivola accasciati sul divano, sgranocchiando noci e
nocciole, melograni, fichi e datteri e giocando a tombola (e non di rado
l’atmosfera si scalda per la proverbiale fortuna della nonna, la sordità del
nonno che non afferra mai i numeri, qualche battuta fuori luogo…). Quasi non ce
ne accorgiamo neanche ed è di nuovo tempo per mangiare: la cena è di nuovo pronta.
In un attimo le cartelle della tombola coi fagiolini a coprire le caselle
lasciano il posto alla pentola fumante del bollito, la ciotola di salsa verde e
il vassoio con l’insalata russa.
L’anno nuovo è festeggiato con
il “cenone” di San Silvestro, una cena informale fra amici, divertente e
chiassosa, in cui domina la tradizione gastronomica di due piatti di carne di
maiale, lo zampone e il cotechino, con un contorno di lenticchie, che si dice
porti fortuna mangiarle per l’ultimo dell’anno in quanto la loro forma
assomiglia a delle piccole monete, come i chicchi di uva in attesa del brindisi
della mezzanotte.
Il sei gennaio arriva
l’Epifania che, come dice il proverbio, “tutte le feste porta via”: la befana,
ritratta come un vecchia rugosa dal naso adunco che vola cavalcando una scopa
di saggina, porta con sé, dentro delle calze di lana, dolci e regali ai bambini
che hanno fatto i buoni, o carbone se sono stati cattivi. La befana ha questo
sapore malinconico, del carbone se non si è stati bravi, dell’ultimo vero
momento tutti insieme in famiglia prima di tornare al lavoro, alla scuola, ai
doveri quotidiani. Le vacanze di Natale sono davvero finite. Non sono lontani i
giorni in cui le primule spunteranno
timide dai prati.
Ed eccoci al giorno del Natale! Foto di Sandra Pilacchi |