In queste ore abbiamo subito a Bisarno una strana avventura,
non dissimile da quella del topo raccontata qualche settimana fa: una invasione
felina che ci ha un po' complicato gli ultimi tre giorni. Allora, questa la cronaca. Lo scorso
venerdì notte rientro in casa dopo l'inaugurazione di Cookstock e, schifato da un puzzo
pestilenziale, trovo una deiezione, una cacca, molto grande, sulla base della
scala di legno che porta alla piccionaia. Penso subito a un gatto ma la mia
ricerca è vana. Chiamo subito il mio amico Micio (un soprannome che niente ha a
che vedere coi gatti, peraltro, ma è, sarebbe, esperto gattaro) per farglielo stanare. Viene, controlla, cerca.
“Nulla” – mi fa – “se c’era un gatto l’avrei visto – sarà stata la Mignola (la
mia bambina più piccola e con la nomea della dispettosa ndr)”.
Il giorno una nuova inconfutabile prova della presenza feline: una fetida pisciatina, sempre in zona torretta. Qualcosa
c’è, penso. E cerco. Ma non lo trovo. Si arriva al sabato notte. Un terribile temporale
di lampi e tuoni è accompagnato da inconfondibili miagolii provenire da giù
(noi dormiamo al primo piano), ma decido di non alzarmi. Arriva la domenica mattina: ci alziamo di buona
lena per stanare il gatto. Siamo in quattro a cercarlo. Nulla, sembra scomparso dopo i miagolii notturni. Desistiamo.
Ci avviamo tutti fuori per cose nostre. Durante il pomeriggio di domenica fa
sempre più freddo e decido allora di rientrare in casa per
prendere un maglione. Non faccio in tempo ad arrivare che lo intravedo da fuori
dal vetro del portale della cucina - io all’esterno il gatto in cucina che scappa via
velocissimo appena intuisce il mio ingresso. Riesco a captare con la coda
dell’occhio - grazie alla mia vista restituita dal laser! – dove si nasconde il
felino: sotto il divano nella stanza del camino. Prendo una
granata per stanarlo ma non c’è verso. È terrorizzato. Io mi sento più forte di lui, convinto di una atavica superiorità di genere, anche se conosco i comportamenti animali dalle edificanti
favole di Esopo e Fedro e poco più. Sposto allora il divano e il gatto scappa
via in cucina. Lo seguo. Ci troviamo vicini. C’è tensione adesso. Il gatto compie un
diabolico salto da fermo impressionante che dal pavimento lo porta sul davanzale interno
di una finestrella che si trova sotto il soffitto della cucina. “E’ fatta – è
in trappola”, penso. Apro il grande portale che separa la cucina dall’aia e cerco di indirizzare il gatto verso l’uscita, tentandolo con la scopa,
per mandarlo fuori. Colpo di scena. Il mio programma frana miseramente: appena la
bestia sente la scopa sfiorarlo mi si getta addosso, a volo d’angelo.
Terrorizzato, ho giusto un attimo per scansarmi (per altro battendo l’anca
contro il tavolo di legno) e il gatto scappa, ignorando - ca va sans dire -
l’uscita dal portale spalancato, e risalendo su ai piani. Sono io adesso
terrorizzato, altro che il gatto. Richiamo il Micio indispettito: “Te e la tua
bravura coi gatti, meno male un c’era e la cacca l’era della Mignola”. Esco di
casa sconfitto, scosso e spaventato, e svolgo la mia giornata lavorativa in
Ruffino. Domenica notte: verso le 23 vado a prendere di nuovo il Micio e rientriamo a
Bisarno, mentre le bambine e la Laura già dormivano di gusto. “Questa volta lo
cerchiamo noi finchè non lo trovi te”, esprimo con un mirabile anacoluto per sganciarmi
dalle responsabilità. Questa volta però la caccia non è difficile. È tutto
intristito e mogio nel soppalco della torretta. “E’ una gattina, anche
bellina”, esclama il Micio, “ci penso io, te vai a prendermi dei guanti e un
po’ di cibo, io nel frattempo ci parlo”. “…”. Ligio gli porto ciò che voleva.
Appena le porge il cibo, la gatta fa un altro poderoso balzo e via, la riperdiamo.
Un’altra volta. “Tranquillo” – mi fa – “ho lasciato le porte aperte, è
sicuramente uscita”. Si, certo. Sicuramente uscita, come no. La domenica notte non sentiamo nulla, idem nel corso del lunedì ma la
sera sento di nuovo l’odore. La cerco. Questa volta la
trovo sotto il camino, di nuovo irremovibile. Provo a porgerle cibo, a rendermi
affabile: due giorni fa mi ero presentato con una scopa e il risultato è,
comprensibilmente, nullo. Scoraggiato, vado a letto. La notte del lunedì però
la gatta si fa sentire clamorosamente: miagola praticamente sempre, fa cadere un vassoio, si
affaccia in camera da letto nostra per poi andarsene velocemente. Aspettiamo il
mattino e la troviamo di nuovo nascosta sotto il camino, dopo una notte di
scorribande. Ci rivolgiamo al muratore. Lui sì davvero gattaro. Si fascia il
braccio e riesce a prenderla. La trascina fuori da sotto il camino ma, sulla soglia, gli scappa anche a lui. Fortunatamente però la gatta esce
dalla porta e abbandona, dopo 4 giorni e 3 notti, Bisarno. L’ho rivista oggi attorno
la casa. Mi guardava furtiva, quasi ferita, forse delusa. La sensazione è che
tenterà di nuovo di rientrare dentro. Noi continueremo a darle da mangiare.
Fuori, in una ciotolina di plastica. Ci serve un gatto che si aggiri per l’aia.
Era stato questo il ragionamento alla base del tentativo di addomesticamento di
un gatto selvatico. Poi le cose non vanno sempre come si vuole, ma confidiamo
che si possa tornare a quella distanza affettuosa che aveva funzionato per
tutto agosto. Solo, non la chiameremo più Fulvio, ma Fulvia, e ce la sentiremo
molto più di prima nostra: la sua paura, la sua astuzia, il suo carattere, la
sua bellezza, l’hanno comunque resa simpatico, quasi una di noi, una di Bisarno.
In fondo, a modo mio, mi ci sento anche un po’ affezionato.
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Nascosto sotto il caminetto. Vano il mio tentativo di blandirlo col cibo. |
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Mi guarda apparentemente dolce dal soppalco. |
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Balzato dal pavimento alla finestra di cucina. |
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Rintanato sotto il divano. |