4 novembre 2016

Montreal

Sono arrivato a Montreal con la febbre e la lascio con la febbre. Lavorare sul proprio carattere. Imparare a conoscersi e tentare di portare alla luce, se non redimere, alcuni aspetti della propria personalità che possono frenare la propria serenità, le relazioni, la vita in generale. Un esercizio complicato e molto faticoso, che si è reso necessario applicare in questi ultimi giorni sotto l'influenza. Tachipirina prima di addormentarmi per lenire la febbre alta, tachipirina al mattino dopo nottata da tregenda con febbre ancora più alta, doccia catarchica e poi sul marciapiedi di questa accogliente città. Montreal emana un afflato parigino, uno stile europeo e un brio da porto mediterraneo. Mi aspettava (e che calorosi benvenuti!) per eseguire una agenda ricca di iniziative, lezioni, degustazioni, cene, eventi. Scrivo mentre mi trovo all'aeroporto in attesa del volo di rientro, sto risentendo un po' di appetito dopo tre giorni di dieta liquida (speriamo sia un primo segno di guarigione!), che incoraggio con dei tacos e una insalata di gamberetti. E un robusto Cabernet della Central Coast in California. Avrò la boccaccia io ma il vino non aiuta. 
Ieri sera per festeggiare la fine delle mie due settimane di lavoro uno dei miei colleghi mi ha portato a vedere la partita di hockey, una epitome di canedesità, i Canadiens di Montreal contro Vancouver. L'altro grande orgoglio è un cocktail, il Caesar, un Bloody Mary con l'aggiunta di acqua della bollitura delle arselle. Buono malgrado l'ultimo ingrediente insospettisca, ma ne dà un tocco di esotismo e sapidità in più che non ci sta per niente male.
Anche in questo caso le mie condizioni di salute mi avrebbero portato a declinare l'invito ma non sarei stato in pace né con la mia coscienza (quando mi ricapita?) né per il gesto tanto generoso che mi era stato fatto. Non é così banale infatti assistere a una partita di hockey, malgrado le infinite partite della season che dovrebbero annoiare anche il più accanito tifoso. Eppure i palazzetti, da circa 25000 posti, sono sempre esauriti. I biglietti sono molto costosi. Non si va a vedere una partita, si va ad assistere a uno spettacolo in cui incidentalmente si svolge uno sport, sebbene i giocatori di hockey siano strapagati, ben più dei calciatori per fare un esempio nostrano. Sugli spalti, non ci sono improperi o cori contro ma sguardi felici e rilassati come quando io vidi Jurassic Park al cinema, il primo film di grande impatto scenografico grazie agli effetti speciali: divertiti più che tesi per il risultato. Del resto non vi sono nemmeno i tifosi avversari - sarebbe in questo caso una gita fuori porta da 7 ore di aereo e 3 di fuso (Vancouver - Montreal) ma il punto è che nessun tifoso di una squadra di hockey ha il concetto di seguire la squadra in trasferta. Peraltro il risultato conta e non conta, poi ci saranno i playoff. Ma é lo show dell'evento che é davvero esaltante per i grandi e per i tantissimi bambini presenti: le migliori musiche amplificate in un ampianto acustico da teatro greco, continui intervalli al gioco per interagire  con gli spettatori (e nel mentre chi assiste in TV subisce, anzi si diverte con la pubblicità), giochi nei giochi, concorsi a premi, sponsorizzazioni a un livello di entertaiment e di grafica animata mai vista. Per non parlare delle opportunità gastronomiche, altro che il pop corn e la Coca Cola, seppur presentissimi: io indisposto ho optato per una bottiglia di acqua vitaminizzata a gusto di limone. Ovviamente poi si possono fare compere: i dischi utilizzati nel pregara sono stati subito impacchettati, garantiti da un certificato di autenticità e messi subito in vendita negli interminabili intervalli.
La partita non sarebbe lunga, 3 tempi da 20 minuti, ma in sé l'esperienza prende almeno 4 ore. Ho fatto bene ad andarci, é stata una esperienza unica e diversa. Sarebbe stato esaltante portarci le bambine. Hanno vinto 3 a 0 i Canadiens, il terzo gol é stato dato per una certa infrazione che non ho colto, non é servito nemmeno buttare il disco dentro la porta. Mi chiamano al gate. Iniziano le lunghe operazioni di rientro in patria.  

Un caloroso benvenuto alla Scuola di Sommelierie

Questi ci copiano le installazioni da Pontassieve....



Afflati europei nelle architetture di Montreal.


Lo spettacolo della partita di hockey.


Un momento di gioco.

Rara fase di gioco.

3 novembre 2016

Inniskillin e Niagara


Le cascate del Niagara, il vapore acqueo e un gabbiano.


Niagara Falls, le celebri cascate del Niagara: le ho viste, e anche dal loro versante migliore, quello canadese, dopo la visita a una delle nostre aziende sorelle, Inniskillin, dove abbiamo assaggiato i deliziosi vini del ghiaccio, gli ice wine. In questi giorni ho avuto anche modo di assaggiare altri vini della classificazione Niagara Falls, la seconda e ultima doc di qualità dopo Okanagan, che crea una sorta di sentita disfida canadese vinicola fra west contro east. Nella doc Niagara Falls predominano i vini da vitigni nordici: il Riesling e alcune bolle le ho trovate varietali, piacevoli e sapidi, meno i Pinot Nero. Tutti però troppo cari per avere un loro mercato fuori dal Canada, fuori dall'Ontario direi, a parte appunto gli ice wine. A Inniskillin ho visto in vigna le pale elettriche per smuovere l'aria ed evitare ghiacciate (le avevo studiate al corso WSET ma non mi ci ero mai imbattuto) e le uve deputate a ghiacciare sono involucrate - la vendemmia avviene fra dicembre e gennaio - da delle reti per proteggere i dolcissimi chicchi dagli uccelli, raven sopratutto, cornacchie. Altra peculiarità: la pressatura viene fatta immediatamente in vigna, spesso sotto la neve fioccante, perché l'uva gelata non può permettersi di sciogliersi neanche un po' poiché diluirebbe il concentrato zuccherino che è l'anima del chicco congelato.  Di rientro, rapida (e, per la febbre di poi, deleteria) sosta alle cascate. Mi sono piaciute? Senz'altro con un "pero"! Sono indiscutibilmente uno spettacolo della natura unico e la passeggiata sul lato canadese arriva fino a lambire, risalendo contro flusso, davvero a un metro non di più, il precipizio della cascata più ampia. Il rumore è tonitruante e viscerale. Il clima gelido, di mille sfumature grigie e ventoso. La pioggia sferzante che punzecchia di bagnato insieme all'imperioso riverbero del vapore acqueo. Immagino cosa non abbia patito chi ha tentato di andare lì sotto col battello. Però tutta questa antropizzazione (ci sono un casinò, un hotel, innumerevoli negozi di souvenir) in un luogo cosi paesaggisticamente suggestivo guastano un po' il rapporto uomo - natura, e l'ho trovato evitabile ecco. Molto bello e caratteristico invece il villaggio Niagara on the Lakes. 




Dentro Inniskillin.


La carta delle birre in un pub a Niagara on the Lake


Prima delle cascate...






Le cascate del Niagara, sguardo d'insieme.




Io, le cascate e un gabbiano.

31 ottobre 2016

Toronto

Mentre le scosse di terremoto continuano a funestare il centro Italia, per lo meno senza mietere vittime - ma se crolla la propria casa si muore un po' comunque - io vivo egoistiche inquietudini e paure, come la scocciante febbrata di freddo e stanchezza che maledetta è affiorata in queste ore e che sto cercando di tamponare con la mia farmacia da viaggio. Al solito mi ci vorrebbe medicine per la psiche, visto che la gestione più complessa è riuscire a viverla bene: non semplice in viaggio lontano, coi giorni di Montreal davanti a me carichi di impegni e le nostalgie per le bambine che si stanno facendo forti. La piccola sala di attesa, quasi spettrale, dell'aeroporto cittadino Billy Bishop non mi aiuta: a breve volerò per Montreal, sperando di lasciare a terra gli umori neri di questa giornata. Toronto ho avuto la fortuna di vederla senza la pioggia di Vancouver, senza la gelida assolata fretta di Calgary, e con il piacere chiaroscurale, malinconico e profondo del muovermi da solo. Sono arrivato qui a Toronto nella east coast giovedì sera e sono stato accolto da una italocanadede dal rassicurante nome Laura, deputata alla concierge in uno degli alberghi più sontuosi, classici ed eleganti in cui abbia mai sostato, il Fairmont Royal King. La mia prima cena è stata in un pub a guardare coi locals la partita di hockey. Poi ho trascorso un giorno, il venerdì, "sul marciapiede", a rappresentare al massimo del mio impegno Ruffino, fra Waterloo e Cambridge, due cittadine non distanti da Toronto. "Italians do it better": qui tutti sembrano stravedere per noi. Non è così frequente essere benvoluti viaggiando per il mondo. In Nord America lo siamo e ogni volta che ci troviamo di fronte a persone che ascoltano le nostre storie abbiamo la gratificante sensazione di piacere, di rappresentare un paese straordinario (frase retorica, vero) e che qualcosa, non solo in un passato ancestrale di banchetti etruschi, simposi romani e galatei rinascimentali, ma anche nel presente della crisi e delle difficoltà siamo noi a insegnare il gusto del buono e del bello, quell'italian lifestyle che ormai sta sostituendo l'abusato made in Italy. E io ne sono proprio orgoglioso, della mia fiorentinità e della mia nazione. Eppure da certi posti noi italiani avremmo tanto da imparare: ho avuto modo di passeggiare, quasi venti chilometri, per le ampie vie di Toronto, in un sabato di mal di pancia che mi accompagna ormai fisso, e una strana tensione che di solito non mi appartiene. Toronto accanto ai maestosi grattacieli in vetro, all'elegante waterfront, alla storia del treni a vapore, ha anche molto di uno stile particolare, il vittoriano industriale. La zona che più lo incarna è il Distillery District, un po' i meatpacking della grande mela un po' i dock di Amburgo: due distillerie del primo novecento ora convertite in botteghe di artigiani, artisti e stilisti. Bello anche il mercato di St Andrews, dove ho assaggiato le mele del Niagara e le polpette di granchio.


Grattacieli da cui svetta la CN Tower.

Un negozio di prodotti fetish.

Verso il Distillery District. 

Il Distillery District.

Dettagli del Distillery District, con mezzi d'epoca ormai solo ornamentali.

Me.

Passeggiata in centro.

Piazza del Town Hall vecchio e nuovo.

Geometrie al tramonto.