Sprecare il mio tempo: non lo sopporto più. Non l'ho mai accettato troppo ma ora che sono entrato nella quarta decade di vita trovo totalmente intollerabile fare cose che non mi piacciono e dalle quali non consegue niente. Mi prende il nervoso e non sono produttivo. Ci sono tanti aspetti del mio io su cui dovrei lavorare ma non questo: mi piace molto questo lato del mio carattere, apparentemente schivo e snobistico, che come un demone mi ha sempre insegnato a cercare l'emozione, a viaggiare indefesso ed essere curioso e aperto, a lasciare un segno, a leggere bulimico e onnivoro, a stare tanto solo con chi voglio e ancor di più con me stesso. A perseguire, con poche fidate persone, progetti e sfide complesse e a lungo termine, che proprio per la loro difficile esecuzione riescono a scuotermi da una sorta di spleen accidioso a cui tendo di indole. Per questo sono sempre stato rapito dal più bel canto dell'Inferno dantesco, il XXVI, quello di Ulisse, della "compagnia picciola" con la quale affronta il "folle volo" del viaggio verso l'ignoto perchè spinto dal demone della conoscenza: "fatti non foste a viver come bruti ma a perseguire virtute e canoscenza". Mi ci immedesimo e ritrovo nell'ulissismo, nel modus vivendi del "re delle tempeste", come lo definiva un ammaliato ed emule D'Annunzio. E grazie o per colpa di questo ambivalente demone, che mi sprona e possiede da circa venti anni, sono la persona che ho cercato di essere: non pigro di noluntas degli ignavi ma con le cicatrici, le ombre e le rughe dei viaggi da compiere.
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