23 gennaio 2016

Il futuro alla corte del passato.

Quando circa un anno fa ho iniziato a muovermi sul territorio a fiutare ruderi, ho istintivamente cercato un ambiente che potesse restituirmi le sensazioni di quel piccolo mondo antico che é stata la casa di campagna dei nonni. Non mi sono approcciato alla recherche con l'idea un po' finta della casa di campagna tratteggiata in certe riviste. Non cercavo un oggetto già rimesso, a la page e pronto all'uso. C'è in certe idee dell'abitare contadino toscano un bello spontaneo, quasi non voluto, asimmetrico nelle forme e necessario nei contenuti. Un bello accogliente, nutritivo ed essenziale. E quando rifletto oggi su come rapportarmi al restauro di una casa contadina, con la torre vecchia di oltre 800 anni, mi dico quindi che vorrei evitare certe nostalgiche e pedisseque riproposizioni museali, che alla fine risulterebbero finte, e concentrarmi alla ricerca di quel bello. Una ricerca quindi che si esplicita con una rilettura rispettosa, certo, ma di gusto contemporaneo e che sappia introdurre il nuovo, il moderno e il sincretico in quel milieu storicizzato da generazioni ma, a dispetto di tante analisi, aperto e mai involuto. Io mi ricordo che non appena un barlume di civilizzazione arrivava - la TV, la lavatrice - questo, compatibilmente con l'aspetto economico, veniva accolto con soddisfazione. E che ci si vergognava degli stessi elementi architettonici esaltati in certe ristrutturazioni radical chic. Quindi, ci saranno citazioni, la mia casa parlerà senz'altro la C aspirata e odorerà di pane nero, ma non saprà solo di algida restituzione accademica. Cercherà di essere attuale, mia, preservando quel daemon di casuale e necessario bello architettonico e abitativo (le pareti sghembe di pietra e ogni tanto un mattone, il camino col paiolo, i soffitti a volte o con le travi a vista, le camere sopra le stalle per sfruttare il calore) che da secoli queste case emanano: un bello accogliente, nutritivo, essenziale. 


Il bello di questa architettura è nella sua necessaria casualità e nell'utilizzo di fascinoso materiale povero.


17 gennaio 2016

Si spoglia!

Ed eccoci ufficialmente ai primi lavori: sabato 16 gennaio abbiamo infatti iniziato la demolizione degli intonaci! Mi sono preparato con una ineccepibile vestizione da eroe classico: tre maglioni (il più esterno comprato a un banchino del mercato di San Lorenzo a Firenze in una forca del gennaio 1994), uno sopra l'altro per proteggermi dalla prima vera giornata fredda di questo umido 2016 e a garantirmi l'apparenza di pettorali squadrati e potenti; pantaloni di velluto ormai lisi; vetusti scarponcini da neve in vece di una scarpa tecnica anti-infortuni; cappello rosso e guanti da muratore che la più grande delle bambine mi aveva personalmente scelto in mesticheria. Sembravo davvero uno bravo, un muratore esperto e motivato. E' stata una giornata faticosa ma bellissima, anche se la sera mi sono trovato con un pruriginoso eritema sulla pelle causato dalla lana, i piedi sbucciati e, quando mi soffiavo il naso, il moccico conteneva la polvere nerastra respirata nel giorno. A suo modo, un'esperienza panistica! Durante i "lavori" (le virgolette sono a rispetto degli altri 3 muratori veri)  mi sono più volte perso a supporre storie passate e a sognare future suggestioni abitative, mancando inevitabilmente di ritmo e concentrazione. Abbiamo iniziato le smurature partendo dal punto più alto della casa, il terzo piano della casa torre, che é il nucleo più antico e risalente al Medioevo. La spoliazione di questa stanza apicale ha fatto emergere uno splendido soffitto a doppia falda con travi a vista, che era stato "nascosto" e protetto, le cui condizioni, come tutti i soffitti dei vari moduli che compongono la casa, sono purtroppo tutte da "verificare".  Togliendo i vecchi intonaci attorno all'unica finestra è emerso anche un suggestivo arco di profondità, che sarà un piacere recuperare e tenere a vista. Scendendo giù dalla scala di cipresso, una botola oggi murata di mattoni garantiva un passaggio nel sottotetto. Alcune pietre e mattoni emerse dalla secolare calce sono apparse cauterizzate, in una zona ben lontana dal passaggio della canna fumaria e comunque troppo bruciate per dare la colpa al camino: probabilmente un qualche incendio passato, che mi ha fatto fantasticare di guerre e saccheggi, viste le origini militari della casa-torre, o forse un più banale incendio domestico causato da qualche bizzosa favilla del grande camino al piano terra, dove si trovava l'antica cucina. La scoperta più suggestiva è stata la presenza di una antica feritoia imbutita, architravata con legni ancora integri di quasi 1000 anni, quasi certamente una apertura funzionale a difendersi. Tante scoperte: un bel propellente mentale per le tante cose che dovremo fare!

La feritoia imbutata. Presidio o semplice finestrella? 
I legni dell'architrave sono quasi millenari!