12 agosto 2016

Il gene della convivialitá. La storia del vino. Parte 1, Prologo.

Gusto sempre con piacere un bel calice di vino in compagnia. Del resto sono, siamo fortunati: lo scenario è quasi sempre incantevole, siano antiche architetture di campagna di galestro e mattoni, accanto al camino durante le cene di inverno, sia il fresco dell'aia, o di un cortile, o nell'atrio di un palazzo quando la stagione è bella. Una lunga tavolata, i miei amici con cui spartire un quieto momento di felicità non proclamata, e attorno a noi la magnificenza della Toscana.
Siamo del resto eredi di una filosofia, di un modus vivendi che ha fatto scuola: il gusto toscano, la bella vita, il sapersela godere con temperanza. Anche col rischio di subire stereotipizzazioni caricaturali per chi ha lo sguardo presbite e abbagliato del lontano. Un calice, anche due - del resto quel formaggio è irresistibile, quel salume mi chiama coi suoi profumi, e poi mi devo "pulire" la bocca - e allora l'atmosfera si fa spesso più sciolta, ci si confida, ci si sente a nostro agio, si affrontano questioni personali, anche intime, gli argomenti si fanno profondi. Si crea un bel clima, una "social catena" che mi fa sentire parte di un tutto. 
Il restauro di Bisarno, la scelta di ingaglioffarmi fra mutui, spese e problemi di ogni tipo, segue proprio questo richiamo interiore, questo istinto.
In fondo in questi momenti noi reincarniamo, riviviamo, quello che per millenni chi ha calpestato, addomesticato, antropizzato queste stesse nostre terre, ha sempre compiuto: parlasse etrusco, latino o fiorentino, lo chiamasse simposio o convivio.
Sì, conviviale è un termine che mi piace, racconta perfettamente cosa è il vino oggi e dove deve porsi: in mezzo a chi si vuol bene, a tavola, fra franche parole. Sembrano fortunatamente finiti, complice anche la recente crisi economica, gli eccessi cattedratici, frigidamente edonistici con cui si è fruito del vino a cavallo del millennio.
Questa convivialità evoluta, questo gusto nello stare insieme, questo modo di essere riaffiora dal nostro istintivo, atavico bagaglio comportamentale e relazionale.
Di come ci siamo arrivati è una bella e lunga storia da raccontare.
Una storia licenziosa, perché parla anche di piaceri della carne.
Avvincente perché le donne, per esempio, l'ammissione al convivio se la sono dovuta sudare attraverso momenti bui, come lo ius osculi (vedremo cosa era), e altri ben più luminosi, come la vita di Caterina de' Medici.
Divina di Dioniso, Bacco e Fufluns. Mito, rito e religione.
Terrestre di fiaschi, mezzadria e arguzie contadine. Di taverne e crapule.
Tragica e comica. Eucaristica e fescennina.
A lieto fine e sempre dal profumo di vino. Quello stesso vino che fermentando nel grande tino dell'esistenza, millennio dopo millennio, ci ha plasmato nella nostra identità toscana e, per molti aspetti, italiana. E pensare che tutto ha avuto inizio molto lontano da qui, nella Colchide di Giasone e degli Argonauti, l'attuale Armenia, circa 6000 anni fa, quando si cominciò ad allevare la vite per farne vino...





Fufluns, il dio etrusco del vino: sapeva godersela, tutti noi gli dobbiamo tanto!

8 agosto 2016

Il Bisarno oltre l'Amstel.

Il Bisarno oltre l'Amstel, il fiume che ha dato origine al primo insediamento chiamato Dam, la diga appunto che lo ha reso possibile strappando un primo fazzoletto di terra dal mare. Diga sull'Amstel: Amsterdam, dove ci troviamo in questi giorni. Ricevo whatsapp con foto dei lavori al Bisarno, con l'ansia e la colpa di chi sente quasi di aver tradito qualcosa, allontanandomi dall'ecke ecken nevrotico e sentimentale, appagante e travolgente, di questa fase della mia esistenza: il restauro di questa vecchia casa di campagna. Eppure sembra quasi che senza di me i lavori procedano più veloci, come se in loco la mia stasi di pensiero incagliasse il dinamismo di azione. La facciata posteriore del modulo torre è quasi completa ed è venuta una meraviglia: la contemplo dal piccolo schermo dell'iPhone con questa strana nuova vista dopo il Lasik che mi fa vedere bene da lontano ma mi infastidisce da vicino, quando cala un po' la luce, nelle penombre e nelle stanze con le luci artificiali.
La facciata posteriore: la parte apicale sinistra è quasi completa. A noi piace!
Poco prima della partenza abbiamo anche presentato il cosiddetto "abaco degli infissi", relativo alle aperture afferenti alle due stanze che porteremo in ristrutturazione immediata: la stanza del camino e la stanza ingresso, dove verranno anche individuati un bagno e una lavanderia-spogliatoio. 
Gli schizzi per le prime finestre: opteremo per il ferro, scelta complessa ma che alla fine mi convince più delle altre.

Adesso impugno la bicicletta, simbolo di questo viaggio ad Amsterdam, e torno a immergermi in questa affascinante città fra i canali, che ha un po' della mia Berlino, soprattutto nella zona del porto dove dominano moderne architetture di vetro e acciaio, qualcosa di Barcellona, per un certo tocco mediterraneo negli eccessi ludici e sguaiati, una spolverata giovane, pansessuale e panteista, veggie e hi-tech di San Francisco, una facile analogia con Venezia, con le acque che la irrorano come un sistema sanguigno e i canali che la dominano, a tratti evidenze di Amburgo per quei mattoni scuri, il porto, i dock, l'anima marinaia e commerciale, e, infine, un pizzico anche di Londra, per il tempo bizzoso, spesso ventoso e piovigginoso e il sincretismo delle sue culture che la rendono una città molto divertente anche dal punto di vista gastronomico. Non poco per quella che una volta era solo terra strappata con fatica al mare e buona solo per coltivare patate.

Io e le mie "olandesine".

Un ingresso un po' macabro, ma il font del civico fa molto Amsterdam.