19 agosto 2016

Cosmonauti in Linguadoca.

In voyage fra la Languedoc e la Provence. Ogni tanto penso a quanto mi abbia dato questo indomito ulissismo, Intanto, paradossalmente, ma neanche troppo, mi ha ancorato al mio paese, "se non altro per il gusto di andarmene", e ogni volta tornare. Mi ha istintivamente attratto verso strutture da restaurare e far emergere nella loro personalità e che sapessero raccontare la loro storia. Ha inoltre restaurato anche me, un lifting della mia personalità, costruendomi - nella condivisione e nella conoscenza - come persona curiosa, aperta, progressista.
E sto anche cercando di trasmettere questa malattia, l'ulissimo, la voglia di viaggiare e conoscere ciò che è diverso e distante da noi, non necessariamente innamorandomene, anche alle mie bambine. La più grande ha da un mese compiuto 5 anni, ha già preso venti aerei, calcato treni, pedalato su biciclette a rotelle, ascoltato storie antiche su battelli, remato in canoe, percorso decine di migliaia di chilometri. Distingue il guacamole, il gatzpacho e il rocquefort pur amando su tutto il pesto. Ha sguardi curiosi e aperti verso il mondo e gli altri bambini. Sa stare a tavola coi sapori dei vari paesi trionfanti nel suo piatto (nel calice ancora a presto!), curiosare a zonzo per le città, passare ore in auto senza bizzare e camminare fra paeselli, musei, colline, paludi e montagne per il piacere di stare insieme a noi, apprendere, rispettare e divertirsi: perché qualche gioco più bello dell'avere un mondo intero da scoprire? E la sera disegna le sue scoperte in un album di viaggio, il suo personalissimo diario di bordo di questi strani giorni trascorsi sempre assieme, google map, i crackers contro il mal di macchina e la musica da canticchiare.
E ho infettato anche la mia dolciastra metà, l'azzeccagarbugli di casa, la mia compagna che oggi per altro vede - dalle rive del Gard ai piedi del celeberrimo Pont, dove ci troviamo adesso - scorrere il suo trentanovesimo anno! A dirla tutta lei aveva una vita anche prima di conoscermi, e già viaggiava: noi lo facciamo insieme da "poco". Il primo è stato nel 2002. Lo scorso anno abbiamo festeggiato il suo trentottesimo da Gracia, a mangiare sarde in un locale eclettico e cupo a Barcelona. E se vado a ritroso con la memoria ne abbiamo imbastiti di brindisi esotici! Anche dove il vino era proibito e abbiamo levato succo di uva e tamarindo.
E io sono contento e pieno di orgoglio di avere questa famiglia e questo entusiasmo nel muoverci, viaggiare e crescere tutti insieme. Stasera brindiamo al suo genetliaco con una italianissima bolla di Franciacorta: a noi e alla Francia, emblema di nazione che ha cercato di integrare, farsi una e sincretica, averci regalato l'illuminismo, la libertà di pensiero e l'esempio per fare rivoluzioni e che oggi vede caraccolare, ma non frangersi, le proprie fondamenta ideologiche e culturali.



Le mie donne e il Pont du Gard alle spalle.

Le mie donne per i vicoli di Montpellier.

15 agosto 2016

Il barbacane.

Oggi é ferragosto, cardine malinconico e bruciacchiato dell'estate. La smania di dover fare qualcosa - é ferragosto! - non l'ho mai digerita. Come ogni festa comandata direi. I lavori al Bisarno sono congelati fino al 22 circa, ma molti miei pensieri, e riflessioni, ci orbitano attorno. Come durante la pedalata di ieri sulla Colognolese. Un anno fa di questi tempi eravamo in vacanza a Barcellona, ascesi dopo lunga camminata fino al Tibidabo, e aspettavamo una risposta che doveva essere positiva, ma non arrivava mai, alla nostra migliore offerta possibile per l'acquisto di Bisarno. A Bisarno c'erano ancora gli inquilini, e c'era l'intermediatore dei venditori, che oggi é il nostro geometra e ormai amico, che disturbammo con una chiamata Barcellona - isola greca per avere notizie, aneleti, segni di una qualche risposta: risposta che sarebbe arrivata mesi dopo, dopo grottesche situazioni nella trattativa che avrebbero meritato un libro, o un blog a parte. Oggi la situazione é molto meno sospesa, fortunatamente. Bisarno é messa forse peggio di quando la abbiamo finalmente acquistato, l'ultimo giorno del 2015, ma per me rappresenta é una freccia di entusiasmo scagliata verso il domani. E una sfida, un missione, un progetto così mi aiuta a compiermi e definirmi come persona. Ci ritrovo radici, la storia del mio paese, correlativi architettonici e comportamentali (in un podere di campagna) di quel che sono, siamo, momenti di equilibrio psicologico. 
 Ieri ci siamo tolti lo sfizio d fare una giratina con mio suocero nei luoghi della sua infanzia e della sua adolescenza. Campagna contadina sopra Pontassieve. Posti splendidi in cui abbiamo sentito più volte gli spash delle piscine di festosi stranieri (olandesi, francesi e tedeschi su tutti) relaxing under the tuscan sun. Quantum mutatum ab illo. Quanto é cambiata dai giorni agrodolci della mezzadria la nostra campagna. Ci siamo inerpicati dalla chiesa del paese verso le vestigia di un castello demolito quasi mille anni fa dai Guelfi senesi e che costituiva zona di giochi, fra i sassi franati a terra (alberese con una striscia nera fra gli strati) e la torre diruta. Oggi ci sono rovi e macchia e quel ronzio continuo di mosche e moscerini che tanto mi ricorda anche i miei giorni da piccolino in estate in Casentino. Il campo da pallone. Il prete del paese. Il professore ormai vecchissimo, colui che nel paese aveva un po' studiato e si poteva fregiare di un titolo rispettoso ma anche un po' sbeffeggiato. La scusa di questa madelaine proustiana era in realtà verificare sul campo la presenza sulle case contadine di una struttura architettonica non bella ma caratteristica che spesso punzonava le fragili e irregolari murature di campagna e che forse sarà necessaria anche nella facciata vista aia di Bisarno: un elemento murario di sostegno e raccordo chiamato da tutti barbacane.
La parola barbacane non l'avevo mai sentita dire. E a orecchio non direi che rientra nel vocabolario fiorentino contadino delle architetture di campagna. Ma quando le pareti cominciavano a cedere, o si dovevano legare blocchi irregolari, ai costi e ai tempi e alla difficili tecniche di rifare la muratura si preferiva costruire questo dente, questo punzone - in alcuni casi larghi diversi metri e con una ampiezza alla base di quasi mezzo metro, che finiva per ristringersi fino allo zero salendo verso l'alto - che al contempo sosteneva e nascondeva, legandole, due pareti disassate, o un muro "sbombato". 
A Bisarno abbiamo il modulo centrale della torre a cui secoli dopo é stato affiancato il modulo stalla con grandi problemi di filo e di cedimenti, "risolti" nel tempo con una sovrammuratura ormai fatiscente. Questa sovrammuratura peraltro, una volta tolta, ha rivelato una porta ad arco che corrispondeva al sottoscala della scala che porta ai piani superiori. Scala successiva alla torre. Cioè se noi ripristinassimo quell'apertura ci troveremmo davanti il vuoto (riempito) della scala che sale al piano superiore. Probabilmente - e qui sta poi il problema di filo delle murature a vista esterne che richiederanno forse un barbacane di cui sopra - la torre coi suoi tre piani é l'elemento  più antico, del XIII secolo. Successivamente é arrivato il modulo stalla, di cui la porta ad arco costituiva un ingresso per gli animali. Poi si decise di costruire delle scale esterne (esterne alla torre ma dentro la casa, dentro il modulo stalla) per salire sulla torre, mangiando spazio alla stalla e che hanno reso inutile l'ingresso e la fruizione dello spazio posteriore la porta arco (lo spazio posteriore sarebbe divenuto infatti un sottoscala): da qui in concomitanza con la realizzazione delle scale la muratura di quell'arco e gli accrocchi murari che al momento attuale del restauro stanno facendoci valutare di creare un barbacane di giunzione e rafforzamento. Un ultimo dubbio nella ricostruzione storica architettonica: prima delle scale come si saliva e scendeva al primo e secondo piano della torre? Boh! Secondo me (magari un giorno troverò il cabreo che cerco a confermarmelo) la torre, essendo una torre di difesa, aveva dei sistemi di salita a botole e scale in fune. Per isolarsi piano da piano in caso di attacco. Poi a tempi meno bellicosi si era resa necessaria una scala stabile e permanente. Resta ancora un dubbio. Togliendo l'intonaco dalla stanza del camino, il piano terra della torre, é emersa una apertura, murata, piuttosto alta. Che diavolo era? Una finestra così grande non aveva senso in una struttura difensiva. E se fosse una cicatrice di un ingresso al primo piano? Chissà, i misteri architettonici di Bisarno, dovuti alla plasticità con cui le strutture mutavano a seconda delle esigenze, sono ancora tanti...

Un barbacane...

Un secondo barbacane.

Un terzo barbacane...