16 settembre 2017

Un sabato di ordinaria serenità

Un sabato dedicato all'aia, a finire le stuccature nella facciata all'altezza del barbacane, io a raccogliere le noci e pulirle giocando con le bambine, Ugo a dare degli smalti ai soffitti in casa, Maurizio a gestire due falò per fare un po' di pulito attorno casa e il fumo che regala i primi odori incensati che sanno d'autunno non lontano, la Laura in tante faccende affaccendate, la gatta che gironzola sorniona qua attorno e questa sera la partita della Fiorentina e una pizza in compagnia di buoni amici. Ci sono sabati in cui non succede niente di notabile ma che corrono via veloci e tutto sommato sereni.

Si bruciano un po' di legni e cartoni
Noi tre e il fienile
La mitologica Fulvia
Si stucca anche la facciata
Il fienile e il nocio


15 settembre 2017

La stuccatura del lastricato

E finalmente si è iniziato anche a stuccare il lastricato! E come per le stuccature in facciata, anche per questa scelta (sul tipo di stucco intendo) si è lungo dibattuto, sia sul gruppo whatsapp Bisarno murature che al telefono che sul pezzo. La scelta è stata conservativa e coerente con la facciata: biocalce anche per terra. Vi erano dei contro che potevano portare a un'altra scelta, meno ecologica e con una cromia meno naturale, meno bella, più grigiastra: il cemento. "Francesco, si va di biocalce o col cemento?". Al solito, tutti propendevano per il cemento ("è più solido" - "non si intride e non fa le crepe" - "la biocalce rischia di fare un effetto zebra") ma l'idea di perpetrare una gestalt univoca di tutto l'ambiente, e perseguire un restauro con materiali organici ed ecologici, oltre a una indubbia supremazia estetica, mi ha fatto scegliere la biocalce e le sue cromie fango-giallastre.
Che ve ne pare?

Prima posatura

Asciugandosi diventa un po' bianco: occorrerà darci un po' di acido


Un dettaglio di luce mattutina fra le ombre del nocio
Sguardo d'insieme a metà circa dell'opera

13 settembre 2017

C'era una volta una gatta

In queste ore abbiamo subito a Bisarno una strana avventura, non dissimile da quella del topo raccontata qualche settimana fa: una invasione felina che ci ha un po' complicato gli ultimi tre giorni. Allora, questa la cronaca. Lo scorso venerdì notte rientro in casa dopo l'inaugurazione di Cookstock e, schifato da un puzzo pestilenziale, trovo una deiezione, una cacca, molto grande, sulla base della scala di legno che porta alla piccionaia. Penso subito a un gatto ma la mia ricerca è vana. Chiamo subito il mio amico Micio (un soprannome che niente ha a che vedere coi gatti, peraltro, ma è, sarebbe, esperto gattaro) per farglielo stanare. Viene, controlla, cerca. “Nulla” – mi fa – “se c’era un gatto l’avrei visto – sarà stata la Mignola (la mia bambina più piccola e con la nomea della dispettosa ndr)”. 
Il giorno una nuova inconfutabile prova della presenza feline: una fetida pisciatina, sempre in zona torretta. Qualcosa c’è, penso. E cerco. Ma non lo trovo. Si arriva al sabato notte. Un terribile temporale di lampi e tuoni è accompagnato da inconfondibili miagolii provenire da giù (noi dormiamo al primo piano), ma decido di non alzarmi. Arriva la domenica mattina: ci alziamo di buona lena per stanare il gatto. Siamo in quattro a cercarlo. Nulla, sembra scomparso dopo i miagolii notturni. Desistiamo. Ci avviamo tutti fuori per cose nostre. Durante il pomeriggio di domenica fa sempre più freddo e decido allora di rientrare in casa per prendere un maglione. Non faccio in tempo ad arrivare che lo intravedo da fuori dal vetro del portale della cucina - io all’esterno il gatto in cucina che scappa via velocissimo appena intuisce il mio ingresso. Riesco a captare con la coda dell’occhio - grazie alla mia vista restituita dal laser! – dove si nasconde il felino: sotto il divano nella stanza del camino. Prendo una granata per stanarlo ma non c’è verso. È terrorizzato. Io mi sento più forte di lui, convinto di una atavica superiorità di genere, anche se conosco i comportamenti animali dalle edificanti favole di Esopo e Fedro e poco più. Sposto allora il divano e il gatto scappa via in cucina. Lo seguo. Ci troviamo vicini. C’è tensione adesso. Il gatto compie un diabolico salto da fermo impressionante che dal pavimento lo porta sul davanzale interno di una finestrella che si trova sotto il soffitto della cucina. “E’ fatta – è in trappola”, penso. Apro il grande portale che separa la cucina dall’aia e cerco di indirizzare il gatto verso l’uscita, tentandolo con la scopa, per mandarlo fuori. Colpo di scena. Il mio programma frana miseramente: appena la bestia sente la scopa sfiorarlo mi si getta addosso, a volo d’angelo. Terrorizzato, ho giusto un attimo per scansarmi (per altro battendo l’anca contro il tavolo di legno) e il gatto scappa, ignorando - ca va sans dire - l’uscita dal portale spalancato, e risalendo su ai piani. Sono io adesso terrorizzato, altro che il gatto. Richiamo il Micio indispettito: “Te e la tua bravura coi gatti, meno male un c’era e la cacca l’era della Mignola”. Esco di casa sconfitto, scosso e spaventato, e svolgo la mia giornata lavorativa in Ruffino. Domenica notte: verso le 23 vado a prendere di nuovo il Micio e rientriamo a Bisarno, mentre le bambine e la Laura già dormivano di gusto. “Questa volta lo cerchiamo noi finchè non lo trovi te”, esprimo con un mirabile anacoluto per sganciarmi dalle responsabilità. Questa volta però la caccia non è difficile. È tutto intristito e mogio nel soppalco della torretta. “E’ una gattina, anche bellina”, esclama il Micio, “ci penso io, te vai a prendermi dei guanti e un po’ di cibo, io nel frattempo ci parlo”. “…”. Ligio gli porto ciò che voleva. Appena le porge il cibo, la gatta fa un altro poderoso balzo e via, la riperdiamo. Un’altra volta. “Tranquillo” – mi fa – “ho lasciato le porte aperte, è sicuramente uscita”. Si, certo. Sicuramente uscita, come no. La domenica notte non sentiamo nulla, idem nel corso del lunedì ma la sera sento di nuovo l’odore. La cerco. Questa volta la trovo sotto il camino, di nuovo irremovibile. Provo a porgerle cibo, a rendermi affabile: due giorni fa mi ero presentato con una scopa e il risultato è, comprensibilmente, nullo. Scoraggiato, vado a letto. La notte del lunedì però la gatta si fa sentire clamorosamente: miagola praticamente sempre, fa cadere un vassoio, si affaccia in camera da letto nostra per poi andarsene velocemente. Aspettiamo il mattino e la troviamo di nuovo nascosta sotto il camino, dopo una notte di scorribande. Ci rivolgiamo al muratore. Lui sì davvero gattaro. Si fascia il braccio e riesce a prenderla. La trascina fuori da sotto il camino ma, sulla soglia, gli scappa anche a lui. Fortunatamente però la gatta esce dalla porta e abbandona, dopo 4 giorni e 3 notti, Bisarno. L’ho rivista oggi attorno la casa. Mi guardava furtiva, quasi ferita, forse delusa. La sensazione è che tenterà di nuovo di rientrare dentro. Noi continueremo a darle da mangiare. Fuori, in una ciotolina di plastica. Ci serve un gatto che si aggiri per l’aia. Era stato questo il ragionamento alla base del tentativo di addomesticamento di un gatto selvatico. Poi le cose non vanno sempre come si vuole, ma confidiamo che si possa tornare a quella distanza affettuosa che aveva funzionato per tutto agosto. Solo, non la chiameremo più Fulvio, ma Fulvia, e ce la sentiremo molto più di prima nostra: la sua paura, la sua astuzia, il suo carattere, la sua bellezza, l’hanno comunque resa simpatico, quasi una di noi, una di Bisarno. In fondo, a modo mio, mi ci sento anche un po’ affezionato.
Nascosto sotto il caminetto. Vano il mio tentativo di blandirlo col cibo.

Mi guarda apparentemente dolce dal soppalco.

Balzato dal pavimento alla finestra di cucina.

Rintanato sotto il divano.

12 settembre 2017

Le giuggiole e il primo freddo dell'autunno


#Cookstock si è concluso, bene, con un buon risultato per tutti gli organizzatori e, spero, con un gustoso divertimento per il pubblico, anche quest’anno accorso in abbondanza malgrado le previsioni meteo non ottimali e bollettini ben più catastrofici di quanto in effetti sia poi piovuto (almeno a Pontassieve, vista la tragedia di Livorno di domenica mattina).
A Bisarno, in concomitanza con #cookstock, quindi dallo scorso venerdì, è piombato un clima autunnale, come se l'estate e i suoi 35 gradi che ci hanno accompagnato per due mesi fossero caduti improvvisamente in "un abisso orrido immenso ov'ei precipitando il tutto oblia" (un modo solare per definire la morte secondo l'allegro Giacomo Leopardi). Sì: è arrivato il freddo. Anche troppo per un settembre appena iniziato. E noi quattro, con grande piacere, ci stiamo abituando a una nuova Bisarno, più intima e raccolta, pre-invernale. Vivendoci dal 3 luglio e avendone vissuto solo giorni di gran caldo, è come un nuovo trasferimento. Intanto i lavori stanno proseguendo nelle parti esterne, con la definizione del lastricato dell'aia e dei marciapiedi perimetrali, sempre in lastre ad opus incertum. Gli alberi autunnali stanno maturando i loro frutti turgidi, epigonali, espressioni accese e succose, come un ultimo appassionato bacio che l'estate - una spettacolare estate - ci vuole regalare. Noci e giuggiole. Si, soprattutto mi gusto le giuggiole. Bisarno è ricco di giuggioli che riescono a crescere in questo suolo proprio bene. I giuggioli di solito sono complicati nel loro iter di maturazione e sviluppo. Il giuggiolo è una pianta che proviene dalla “mia” Siria e non si sa per quale motivo fosse molto frequente nelle case contadine toscane: ci si faceva anche un liquore, il proverbiale brodo di giuggiole. Adesso è raro e appunto difficile da far attecchire. Qui invece prospera e ne abbiamo tante nel campo attorno casa: una volta un vecchio signore a passeggio lungo la via Colognolese si presentò e ci disse di non estirpare questi alberi pieni di pruni e non troppo nobili per nessun motivo al mondo, "chè portano fortuna le giuggiole". Più che altro sono proprio buone, lo chiosai io. Mi piacciono perchè hanno il sapore del congedo delizioso alla bella stagione, perchè sembrano mela, ciliegia e dattero (ah buoni i datteri) mischiati tutti assieme, perchè non si possono raccogliere - avvizziscano e deperiscono in a short while - e quindi si devono mangiare mentre si cogliono. Ogni giorno al mio rientro serotino ne mangio una ventina, una trentina, sputazzo i nocciolini ormai con maestria nella scarpatina di confine (magari ne nasceranno altri) e poi mi chiudo in casa, con pochissime finestre aperte perchè ormai la sera la temperatura scende attorno ai 10 gradi e anche il giorno superiamo a stento i 20 gradi. Senza tralasciare l’antonomastico vento di Bisarno, che già spira con forzuta continuità. E in casa, a quanto osservo e ho già raccontato, ci stanno bene anche gli animaletti. Intanto, abbiamo tantissimi insetti dentro casa. Curioso, non li avevo troppo notati durante l'estate o forse ve ne erano davvero meno: mi capita di alzarmi - per esempio stanotte per andare in bagno - accendere la luce e osservare una fuga disperata dalla luce e dall'uomo di insetti di varie foggie e dimensioni: non sono un entemologo ma davvero ve ne sono tanti. Per adesso, ci conviviamo senza particolari problemi. Noi non accettiamo solo le zanzare, ma sarà il freddo, almeno per loro, a fare quanto prima una bella selezione all’ingresso!

Un giuggiolo contro il cielo azzurro di settembre.

Mi piacciono così: ancora un po' verdi ma già dolcissime.
Marciapiede lungo la corte esterna.