10 marzo 2017

Il rabdomante e gli intonaci: si parte davvero.

Alle 8.10 squilla il telefono. Il capocantiere strepita: "Non riusciamo ad aprire l'acqua. Gli intonachini non possono lavorare. Chiama l'idraulico: io l'ho già chiamato e mi ha detto che non può venire adesso - come facciamo?". Nel mentre le bambine tossiscono senza smettere. Sono solo in casa perché la dolciastra mia metà è in direzione La Spezia a tonitruare in udienza. Già è così complicato fare il babbo da solo e oggi c'è anche da addentrarsi nei medicamenti a cui le bambine sono sottoposte. In più l'ennesima bega di cantiere. Chiamo il direttore dei lavori per avvertirlo dell'empasse - penso: ma perché non lo hanno chiamato direttamente loro? - e preparo le colazioni: l'una diversa dall'altra ed entrambe le bambine che la rifiutano una volta servita. Ingurgitato il mio latte e ustionatomi il palato per la celere deglutazione, telefono all'idraulico e in sincrono mi arrabbio per i ritmi blandi con le quali le piccole pesti smoccicanti si approcciano flemmatiche e indolenti al primo pasto del giorno mentre al telefono cerco di cucire una relazione propedeutica un salvifico e taumaturgico sopralluogo. Parlato con l'idraulico - l' auspicato rabdomante - e ottenuta una visita "forse nel pomeriggio, non prima", richiamo il capocantiere mentre tergo i miei e i denti altrui. Lapsus: non ricordo i colori degli spazzolini altrimenti identici delle piccole e le bambine ne approfittano per imbastire un ciarliero gioco: "Babbo indovina: quale è il mio?" - "E il mio?", echeggia l'altra con sintassi incerta ma tono adamantino e irriverente. Il telefono ha già perso il 55 per cento di carica. A Bisarno la soluzione per il ripristino idrico sembra non trovarsi più e si fanno ormai ipotesi delle più disparate, complottistiche e pindariche. Acqua che peraltro fino alla sera del giorno prima scorreva regolare. Anche stamani si va verso l'ennesimo rinvio dell'inizio delle intonacature, bofonchio fra il triste e lo scocciato intra me. Non mi va di arrendermi. Disperato mi aggrappo a ogni mezzo per cercare di risolvere la situazione acqua, fondamentale ovviamente per fare il premiscelato e spararlo nelle pareti. Quindi, nevrotico, continuo il mio giro di telefonate, il telefono adesso attaccato al caricabatterie che mi imprigiona come un cane la catena. Impreco. Concilio. Lavo. Minaccio. Vesto. Compio esercizi di respirazione. Poi, d'improvviso, vagliata e accolta dal "politburo di Bisarno" anche l'estrema suggestione di un tubo rotto a monte, di pertinenza della fattoria (quindi buonanotte...), arriva quasi dal cielo l'ennesima chiamata del capocantiere, adesso recata con voce flautata e quasi mistica: "Tutto ok FRANCO, non avevamo girato bene il rubinetto che era un po' duro". Prendo il mio pouff e inalo, molto profondamente e con studiata lentezza. Si! Finalmente siamo partiti con gli intonaci. Ma un pezzo di me se ne è andato, immolato alla causa.

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